Il Magnificat
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Il MAGNIFICAT È un canto di lode il Magnificat, un inno rivolto alla grandezza e alla misericordia che Dio ha avuto verso Maria, verso tutti i popoli della terra, anche verso di noi. Dobbiamo all’evangelista Luca (Lc 1, 46-55) questo cantico che insieme al Benedictus, al Gloria e al Nunc dimittis scandiscono la giornata orante della Chiesa. Il Magnificat è come un ponte tra l’Antico e il Nuovo Testamento, tra Israele e la Chiesa.
Maria è l’eccelsa figlia di Sion (LG 55) al primo posto tra la schiera degli anawim, i poveri che puntano tutto sul Signore e che si riconoscevano "poveri" non solo nel distacco da ogni idolatria della ricchezza e del potere, ma anche nell'umiltà profonda del cuore, spoglio dalla tentazione dell'orgoglio, aperto all'irruzione della grazia divina salvatrice. Tutto il Magnificat, è, infatti, marcato da questa "umiltà", in greco tapeinosis, che indica una situazione di concreta umiltà e povertà.
Anche Benedetto XVI nella sua enciclica sulla Speranza, rimarca questo aspetto: “Santa Maria, tu appartenevi a quelle anime umili e grandi in Israele che, come Simeone, aspettavano “il conforto d’Israele” (Lc 2,25) e attendevano, come Anna, “la redenzione di Gerusalemme” (Lc 2,38). Tu vivevi in intimo contatto con le Sacre Scritture di Israele che parlavano della speranza – della promessa fatta ad Abramo e alla sua discendenza” (Spe Salvi, 50).
Tutto è venuto da Dio; tutto è stato opera sua. Nessun altro era con Lui quando egli pensava e progettava e attuava la salvezza. Lui solo è “il potente”. Non ci sono forze che possano opporsi a Dio: non le forze della natura, non le potenze della storia: Lui solo è potente. Egli solo è il Santo, l’incomparabile, che l’uomo non può vedere senza morire. I serafini lo proclamano incessantemente coprendosi il volto: “Santo, santo, santo il Signore, Dio delle schiere. I cieli e la terra sono pieni della sua gloria.
” Ora, secondo il Magnificat, l’azione irresistibile di Dio, la luce della sua gloria si è manifestata contro i superbi, i potenti, i ricchi; verso tutti coloro che, avendo qualche motivo di vanto, si ritengono autosufficienti e disprezzano tutto ciò che non appare alto come loro, forte come loro. l’azione di Dio: “Ha distrutto i superbi e i loro progetti. Ha rovesciato dal trono i potenti… ha rimandato i ricchi a mani vuote.” A mani vuote! i ricchi!
Quello che Isaia aveva annunciato come promessa e speranza, noi l’abbiamo visto: Dio ha indebolito i forti e ha fatto lo sgambetto ai grandi. Come sempre, l’azione di Dio ha due facce: l’abbassamento di ciò che è eccelso e l’esaltazione di ciò che è umile. Se i potenti sono stati umiliati e hanno dovuto constatare l’inutilità della loro forza, gli oppressi vengono sollevati da terra e ricevono la consolazione che sembrava loro negata; i poveri sono finalmente saziati di vita.
L’uomo (‘adam) è fatto di terra (‘adamah) e torna irrimediabilmente alla terra; guai a confidare in lui; Ma se non dobbiamo confidare in noi stessi, possiamo però trovare un fondamento di sicurezza nella fedeltà di Dio, nella sua misericordia che resta per sempre. Affidandosi a questa misericordia Israele ha potuto custodire la speranza attraverso i secoli; ha potuto superare i tempi lunghi e oscuri della schiavitù e dell’esilio, dell’amarezza e del pianto.
Ebbene, adesso, Dio ha compiuto le sue promesse in modo meraviglioso e definitivo. Giovanni il Battista può sussultare, esultare di gioia ancora nel grembo di sua madre quando ode la voce di Maria e riconosce, in quella voce, la vicinanza della salvezza. E forse anche noi, cantando il Magnificat di Maria, potremo levare lo sguardo dall’intreccio confuso degli interessi banali ed egoisti di ogni giorno, dai nostri desideri meschini, per intravedere il dono di Dio, la vita che Egli ha preparato per coloro che lo temono. Quando venne la pienezza del tempo e Dio decise di dare carne a tutte le sue parole, di portare a compimento tutte le sue promesse, per fare questo, Egli non chiese in prestito a Roma la forza invincibile delle sue legioni o la chiarezza inimitabile del suo diritto; non chiese ad Atene la profondità del suo pensiero o l’incanto della sua poesia. Si rivolse invece al minuscolo Israele, “… l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe.” (Lc 1,26-27). In un borgo oscuro e ignorato, Nazaret, una ragazza senza qualifiche particolari: non ricca, non nobile, non forte; non è conosciuta e non ha una posizione sociale di rilievo. Giustamente lei, nel suo canto di lode, si presenta come serva umile, cioè aderente a terra. Proprio lei Dio è andato a cercare per esaltare in lei la sua misericordia. “Rallegrati, o piena di grazia… hai trovato grazia presso Dio – le dice l’angelo – il Signore è con te.” (Lc 1,28.30).
Che è come dire: Dio ti ha guardata con immensa tenerezza e benevolenza; e la benevolenza dello sguardo di Dio ti ha reso bella, pulita davanti a Lui. Tutto si gioca attorno a questa parola: grazia; cioè dono gratuito di Dio, dono immeritato e non meritabile che manifesta la generosità infinita di Dio. Maria è stata guardata con favore, amata, e riempita della grazia, del dono di Dio. Ma bisogna capire bene: i doni di Dio non sono cose di cui ci si può semplicemente appropriare, aprendo la mano e afferrando e serrando nel pugno. I doni di Dio portano l’amore personale di Dio stesso e per questo si innestano nel più intimo del cuore umano, là dove lo spirito della creatura si fa cosciente e libero, capisce e ama. È attiva, Maria, di fronte alla chiamata di Dio: ascolta, cerca di capire, interroga, poi, finalmente, si consegna al disegno di Dio: “Eccomi, sono la serva del Signore; avvenga a me secondo la tua parola.” (Lc 1,38). Ecco le cose grandi che Dio è capace di fare Maria è povera serva di Dio; ma Dio la pone di fronte a sé come strumento libero della salvezza che Egli vuole operare. In questo modo Dio ha fatto grande Maria. E, paradosso ancor più sorprendente, Maria fa grande Dio: “L’anima mia magnifica il Signore” (Lc 1,46), dice.
Questa lode non è un’appendice opzionale dell’opera di salvezza come se la salvezza consistesse tutta nel passaggio del mare e la lode fosse solo un abbellimento. No: nella lode l’uomo riconosce l’opera di Dio e, solo quando l’opera di Dio è riconosciuta essa diventa esperienza personale di salvezza.
Esaminiamo i versi del Magnificat: “L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio mio salvatore, perché ha guardato l’umiltà della sua serva”
L’anima mia, la parte più nobile dell’uomo, ciò per cui l’uomo è immagine e somiglianza di Dio, la parte più intima dell’uomo, quella parte che ci fa essere veri figli di Dio, anche se il cristiano non disprezza certamente il corpo. L’anima anzi nobilita il corpo, gli dà un senso, un valore di immortalità, l’anima trascina il corpo dietro di sé, lo eleva verso Dio. L’anima mia, dono del Signore, mezzo per mettermi in contatto col Signore, magnifica il Signore.
Magnifica = lo proclama grande, santo, immortale, proclama al mondo, al corpo stesso i favori di Dio, rende tutto l’uomo consapevole del dono di Dio. L’anima, sostenuta dallo Spirito Santo e da Lui guidata, loda il Signore per la sua grandezza. E’ proprio la grandezza l’oggetto di questa lode dell’anima. La grandezza di Dio che l’umile anima di Maria contempla con amore e con grande introspezione. L’anima magnifica il Signore perché il Signore è stato grande nella sua potenza e nel suo amore verso Maria. E’ un’esplosione di giubilo, quello della Vergine, la premessa di tutto quello che dirà poi nel corso del cantico.
Come figlia di Israele Maria è abituata a rivolgersi a Dio con le parole dei Salmi. Il cantico di Maria si muove liberamente sullo sfondo dell’intera Scrittura e presenta numerosi contatti soprattutto con i Salmi di lode. Magnificat è la prima parola del suo canto (megalynei in greco) e questo verbo di giubilo lo ritroviamo in diversi Salmi: Magnificate con me il Signore esaltiamo insieme il suo nome (Sal 34/33,4). Loderò il nome di Dio con il canto lo magnificherò con azione di grazie (Sal 69/68,31). Esulti e gioisca chi ama la giustizia, dica sempre: «Sia magnificato il Signore!» (Sal 35/34,27).
Ho sperato, ho sperato nel Signore ed egli su di me si è chinato … Mi ha messo sulla bocca un canto nuovo Esultino e gioiscano in te quanti ti cercano, quelli che bramano la tua salvezza dicano sempre: «Sia magnificato il Signore!» ( Sal 40/39 –2.4.17) Non è solo questione di motivo tematico e liturgico: si tratta di celebrare le “grandi cose” che il Signore ha compiuto a favore del suo popolo. “ Ci sembrava di sognare – esclama il salmista – ci ha colmati di gioia, ha riempito la nostra bocca di sorriso... Non solo. Il ritorno degli esuli a Sion riempie di stupore anche i popoli pagani” Allora si diceva tra le genti: «Il Signore ha fatto grandi cose per loro». Grandi cose ha fatto il Signore per noi: eravamo pieni di gioia (Sal 126/125,1‐3). È una grande sinfonia che coinvolge non solo Israele ma anche le genti, i popoli tutti che possono contemplare le meraviglie che il Signore ha fatto.
Molteplici sono gli echi del Salterio nel Magnificat che però non è semplicemente un centone di testi antichi, ma un canto nuovo perché inaudito è l’evento che celebra. In esso trova risonanza anche il cantico di Anna, la madre del profeta Samuele, che dà voce al sorprendente capovolgimento di situazione che Dio opera: Il mio cuore esulta nel Signore: la mia forza s’innalza grazie al mio Dio … Non c’è santo come il Signore … I sazi si sono venduti per un pane, hanno smesso di farlo gli affamati. La sterile ha partorito sette volte e la ricca di figli è sfiorita. Il Signore fa morire e fa vivere, scendere agli inferi e risalire …
Il Signore giudicherà le estremità della terra; darà forza al suo re, innalzerà la potenza del suo consacrato (1Sam 2,1‐10). In continuità con i poveri, gli umili e le donne che l’hanno preceduta nel canto, Maria fa grande il Signore, esalta la sua misericordia che abbraccia tutte le generazioni e mai abbandona Israele. E il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore Non soltanto l’anima, reparto razionale dell’uomo esalta la grandezza del Signore, ma lo spirito di Maria esulta in Dio. Lo spirito, cioè la parte ancora più interiore dell’uomo, la parte dove Dio inabita col Suo Spirito L’uomo è fatto di corpo, di anima e di Spirito nella concezione cristiana e lo spirito è lo Spirito di Dio, il mistero dell’amore che fonda il rapporto più profondo che lega l’uomo a Dio. Lo spirito esulta. Si pensi alla gioia, all’esultanza, alla pace, all’ammirazione di questo stato d’animo. Lo spirito esulta, esce dalla ristrettezza delle realtà di questo mondo triste e desolato nel male, perché comprende, crede e sa che il Signore è il Salvatore. Il Signore è il Salvatore. E’ il Padre che salva mandando il Figlio sulla terra nel seno della Vergine. Chissà quali risonanze ha avuto in Maria questa intuizione. Avrà visto fino in fondo la grandezza del mistero?
Certo c’è nelle sue parole l’eco dell’attesa secolare degli Ebrei, che attendevano il salvatore. Questa è una parola magica, un concetto profondamente inserito nello spirito del buon popolo ebraico, di cui Maria è il fiore più bello. Perché l’anima magnifica e lo spirito esulta? Perché Dio ha guardato l’umiltà della sua serva. La grandezza di Dio che si piega fino a terra, che guarda l’umiltà cosciente e sincera di quella fanciulla che è la Madonna.
Possiamo pensare un momento che cosa è passato nell’animo di Lei, all’annuncio del mistero di Dio che in lei prende carne. La Madonna avrà contemplato la propria vita, piccola e umile, quella di una delle tante fanciulle di Israele, nascosta nella propria casa, silenziosa e attenta ai segni di Dio. Una vita umile, fatta di lavoro, forse anche duro, di preghiera attenta, di ricerca della volontà del Signore. Così agisce il Signore e solo Lui, con mezzi e strumenti totalmente suoi, con uno stile suo, che è sempre quello di guardare dentro, alla vera realtà dell’uomo. Lo sguardo del Signore che non si ferma alla superficie, ma va a fondo, nei misteri del cuore. E quale profondità di cuore ha avuto Maria, la tutta bella, piena di grazia, la prediletta dell’onnipotente. Una vita umile, accettata così nella semplicità e riconosciuta umilmente. La Madonna si sente serva del Signore. Ci penseranno i secoli successivi fino all’eternità a chiamarla Signora, come Lei stessa poi intuisce nel prosieguo del cantico. Ma intanto sente di essere serva, ancella e solo serva.
“O Maria donami l’umiltà di accogliere con amore la mia povertà attuale, il senso della mia impotenza e debolezza. E fai tu quello che io non so assolutamente fare, nel nome di quel Signore onnipotente che anche io voglio magnificare ed esaltare.” “D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata” D’ora in poi. Non è semplicemente un avverbio di tempo, per individuare la successione degli avvenimenti, ma è un rapporto di causalità che nasce dall’azione miracolosa di Dio, dello Spirito Santo su Maria. E’ perché il Signore si è mosso e con la sua grazia ha operato in Maria il miracolo della concezione verginale del Cristo. Quello è stato un momento decisivo nella storia del mondo, della Chiesa, nella storia della salvezza. Il Signore ha agito con tutta la sua potenza, ha sconvolto le leggi della natura, ha preparato in Maria un corpo per il Figlio di Dio, ha dato esistenza terrena a Dio, un volto umano, un’anima umana al Verbo.
Un momento in cui il cielo intero si è fermato in contemplazione, in cui Dio stesso ha atteso il “sì” della Vergine, ha ammirato l’opera delle sue mani verso la benedetta fra tutte le donne. Momento lungamente atteso dal popolo di Israele, preannunziato dai profeti, atteso inconsapevolmente dal mondo intero, da tutta la creazione (vedi S. Paolo Lettera ai Romani,8) Momento che è spartiacque della storia, perché Cristo è già nella nostra storia, prima ancora di uscire alla luce di questo mondo. Momento che esalta l’importanza della vita umana ancora nel seno materno, perché Maria già lo vive e lo canta come una realtà meravigliosa. Momento esemplare della vita di ogni uomo, perché da esso dipende il nostro destino soprannaturale ed eterno, il nostro Battesimo, il nostro inserimento nella famiglia di Dio. Momento di speranza di tutta l’umanità peccatrice che cerca redenzione e aspetta da quel piccolo Essere appena concepito la remissione di tutti i peccati. Momento che segna un abisso tra due mondi, tra due storie, tra i due tronconi della storia dell’umanità, quello che ha atteso e quello che d’ora in poi vivrà il mistero della salvezza. Momento che non avrà più fine. D’ora in poi, un “poi” senza limiti, senza confini di spazio, di tempo, di comprensione, di persone.
Tutto e tutti sono cambiati da quel momento. Tutte le generazioni. Le persone, poche, che ascoltano la viva voce di Maria sono il germe di tutta l’umanità futura. Da quell’umile villaggio ebreo si alza una voce, dolce e potente al tempo stesso. Tutte le generazioni. La generazione che è viva al tempo di Maria, che non sa di possedere con lei la Madre del Signore, e il salvatore stesso Gesù. Tutto il mondo di allora affamato da ben altre cose, come sempre del resto in rapporto alle cose di Dio. Le generazioni che verranno ascolteranno questo annuncio di salvezza, lo faranno proprio, lo vivranno attuale e presente. La meraviglia della trasmissione del messaggio! Quindi anche la nostra generazione, noi che rileggiamo, che preghiamo queste parole eterne. La nostra generazione, certamente non meno distratta di quella dei tempi di Gesù, ma anche attenta in tante parti a quella meravigliosa realtà che è la Chiesa, visibile ed invisibile. Quante anime lodano Maria! Quante vivono il suo messaggio che annuncia al mondo il Salvatore! E’ bello pensare che il Signore voglia la glorificazione di sua Madre, di colei che ha reso possibile la redenzione attraverso il mistero della croce. E’ bello che l’umile fanciulla di Nazareth si senta la Signora del mondo: dirà poi le motivazioni di questa gloria, che sono la scelta e la grazia di Dio, unicamente.
“Mi chiameranno beata”
Questo appellativo può essere considerato un nuovo nome di Maria: la beata fra tutte le donne. Mi chiameranno, mi invocheranno, si rivolgeranno a me chiamandomi per nome, mi pregheranno. Sarà Maria la strada per giungere a Gesù, sarà invocata per questo. E la sua proclamazione come beata sarà a lode di Dio che sa fare cose tanto grandi. Beata Cioè fortunata perché oggetto dello sguardo di Dio, come un giorno Gesù proclamerà beati i puri, i semplici, i poveri, gli oppressi, i miti, i perseguitati. Beata cioè felice della gioia di Dio, perché possiede Dio, l’autore della vita, ha nel suo seno il Verbo di Dio, che genererà al mondo per la salvezza del mondo.
Beata, cioè Santa, santificata dall’intera Trinità, dal Padre di cui è Figlia prediletta, dal Verbo di cui è madre terrena, dallo Spirito santo di cui è sposa. Così Maria si presenta a tutti i suoi fratelli e sorelle, uomini e donne, come Colei che accentra in sé il dono più grande che il Padre ha fatto all’umanità, il suo stesso Figlio incarnato per la nostra salvezza. “Grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente e santo è il suo nome.” Grandi cose. Possiamo domandarci fino a che punto Maria ha valutato il mistero che si compiva in Lei, perché, pur santissima, era una creatura di fronte al Creatore e il Vangelo stesso ci lascia supporre un cammino che la Madonna ha compiuto, quando dice di Lei che ‘conservava tutte queste cose nel suo cuore e le meditava. Il mistero che in Lei si compie è più grande di Lei ed essa ne intuisce soltanto la profondità e la ricchezza. Ecco perché dice:
“GRANDI COSE” ha fatto il Signore.
Ma se si può parlare di cammino e quindi di perfezionamento, dobbiamo però dire che anche l’inizio di questo cammino è stato perfettamente consapevole. L’Angelo le parla chiaramente allo spirito. “Colui che nascerà da te sarà grande – sarà chiamato Figlio dell’Altissimo. Dio gli darà il trono di Davide e il suo regno non avrà mai fine” Sono parole ben chiare, la cui comprensione va ad aggiungersi alla consapevolezza del suo possesso del Signore che a Maria non poteva mancare. Sì, ecco un altro problema appunto: la consapevolezza del suo stato di grazia eccezionale. Anche qui l’Angelo è stato chiaro nel saluto: “piena di grazia – Il Signore è con te” Piena di grazia, cioè gradita al Signore, al massimo grado possibile ad una creatura. Il Signore avrà dovuto sostenere l’animo di Maria perché rimanesse nell’umiltà davanti alla grandezza del dono. Come saremmo andati in superbia noi di fronte a simili parole……Invece la Madonna vive l’umiltà della serva e in tanta umiltà esalta non tanto quello che possiede, quanto quello che ha ricevuto. “Ha fatto in me l’Onnipotente” Nessuna meraviglia allora intorno alla grandezza di Maria, se è l’Onnipotente che si muove. Maria ha il senso profondo della grandezza e della potenza di Dio. Il Signore che ha fatto i cieli e la terra, può anche fare nascere il suo Messia da una Vergine, può compiere il miracolo della concezione verginale, e il miracolo della santità perfetta di Maria. Ancora una volta c’è il rapporto tra il Creatore e la creatura: “ha fatto in me “ed io sono quella piccola cosa che Egli si è degnato di guardare dall’alto dei cieli. Ascolteremo poi S. Paolo che ha la medesima consapevolezza: “la sua grazia in me non fu vana”. Questi santi hanno il coraggio di affermare anche la loro grandezza, come riflesso della grandezza di Dio, non hanno paura della vanità, perché il senso del dono ricevuto è fortissimo e saldissimo. “e Santo è il suo nome” Il nome di Dio è la sua realtà più profonda, è il suo essere, come se dicesse:” Egli è santo”. Sappiamo il valore del nome, anche per gli uomini e gli angeli nella tradizione ebraica. Dio è santo . Egli è una realtà a sé stante, staccata dalla povertà di questo mondo umano. Egli è santo perché non c’è in Lui imperfezione alcuna, anzi c’è in Lui la somma di tutto il bene e di tutto il vero. Egli è santo, perché è, esiste, è Colui che è, senza mescolamento di potenza e di atto, tutto atto, cioè tutta realtà positiva. Egli è santo, perché in Lui non c’è limite alla perfezione, tutto è assoluto. E santo è il suo nome: Jahvè, Dio fedele, colui che è inalterabile. Dio dalla radice “id” colui che vede, colui che sa. Santo è il suo nome da invocare nell’amore, nel rispetto più profondo. Santo è il suo nome davanti al cielo e alla terra, di fronte a tutte le creature. Santo è il suo nome da invocare con tremore, il santo timore di Dio, da invocare nella preghiera di lode, di adorazione, di ringraziamento, di propiziazione, di impetrazione. Santo è il nome di Dio da pregare nella necessità, nella prova, nel dolore, nel buio della vita.
“Di generazione in generazione la sua misericordia si stende su quelli che lo temono”
Le generazioni si trasmettono il dono di Dio, una generazione chiama l’altra a ricevere il dono di Dio e a lodare il Signore per il dono ricevuto.
Ecco la tradizione nel senso più genuino della parola TRADERE = CONSEGNARE ricevere per consegnare nell’unità di intenti e di propositi. Il Signore ama tutti suoi figli, ama il suo popolo ad esso consegna i suoi doni perché siano trasmessi di padre in figlio, di generazione in generazione. E’ bella questa unità tra giovani e vecchi, l’unità delle generazioni, che non lascia sciupare nulla di quanto è stato dato da Dio ed è stato sfruttato e utilizzato da quelli che sono venuti prima di noi. Così non si deve sempre cominciare da zero, ma si parte dal punto in cui hanno portato il discorso quelli che sono venuti prima di noi. E’ un atto di amore tra noi questa trasmissione del dono di Dio, che unisce gli uomini in una sola famiglia. E’ una ricchezza reciproca, è la ricchezza dei secoli. I secoli collaborano a rendere grande e durevole il dono del Signore. La sua misericordia”, quello che si trasmette è il dono della misericordia di Dio, il tipico amore di Dio, l’amore misericordioso, l’amore del Padre che ama e perdona. E’ misericordioso l’amore del Padre, perché il dono è quello della salvezza, è il dono di Cristo che morirà in croce per amore nostro. “Si stende”. Si distende quasi a coprire il popolo con il mantello della misericordia e della bontà. C’è un senso di compiutezza in questo verbo “si stende”, si dilata, quasi a macchia d’olio, richiamando questo amore misericordioso dai suoi stessi continui motivi di azione, per dire che il suo amore misericordioso si distende su tutta l’ampiezza della nostra colpa e ci salva. Si dilata l’amore di Dio senza consumarsi ed esaurirsi o impoverirsi, perché è infinito Finché c’è Dio, c’è amore e amore che PERDONA e SALVA. “Su quelli che lo temono”
L’amore di Dio per essere operante ed efficace ha bisogno della collaborazione dell’uomo. E l’uomo collabora con Dio mediante il SANTO TIMOR di DIO. Ci sono due osservazioni da fare sul TIMORE di DIO. L’AMORE è più grande del TIMORE, e dove c’è Timore non c’è AMORE PERFETTO. Al tempo stesso, però, il TIMORE di DIO, appunto santo, è una realtà completa in se stessa, è già anch’essa amore pieno, perché non si identifica con la paura, il terrore di Dio, ma con la consapevolezza della grandezza del Signore. TIMORE quindi è rispetto verso Dio e il suo santo nome. Anche se è vero che tutto questo non esclude nell’uomo il senso del suo peccato, e il bisogno quindi della misericordia di Dio. Non c’è, d’altra parte, perdono di Dio senza il pentimento dell’uomo peccatore: questo è certamente quanto l’espressione del Cantico vuole dire. Quindi c’è lo spazio per tutto un lavoro dell’uomo su se stesso, per farsi consapevole del suo peccato, chiederne perdono e promettere emendamento. E pensare che l’uomo è capace di annullare la misericordia di Dio con la sua ostinazione nel peccato! “Ha spiegato la potenza del suo braccio, ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore” In questo versetto la Madonna esprime la sua fede nella potenza del Signore, di fronte a tutto ciò che è umano. Viene in mente subito quanto è detto tanto spesso nella Scrittura sulla potenza del Signore, la potenza del suo “braccio teso”, soprattutto nell’uscita dall’Egitto.
Il Signore “ HA SPIEGATO” la potenza del suo braccio. Non ha tenuto per sé, chiusa nella forza della sua divinità, del suo isolamento, questa potenza, ma l’ha manifestata, l’ha dispiegata in tutta la sua ampiezza. Si direbbe che si è impegnato a fondo con tutte le sue forze divine. È grande la potenza delle leggi della natura, in questo caso specifico grande è la potenza dell’amore che porta due creature umane al compito di generazione di altri esseri. Ebbene, queste forze il Signore le ha dominate, le ha piegate, le ha indirizzate a fini diversi. Egli non è stato schiavo, non è stato condizionato da queste forze, ma le ha fatte servire ai fini che Egli si proponeva. La Madonna dice infatti all’Angelo dell’annunciazione : “ Come può avvenire quello che tu dici, dal momento che io non conosco uomo”, il versetto in esame si riferisce particolarmente alla situazione in cui Maria viene a trovarsi, in forza dell’annuncio dell’angelo Gabriele. La potenza del braccio di Dio è anzitutto rivolta a sconvolgere quella legge di natura, che pure Dio ha voluto e creato e che è santissima in sé. Il mondo non avrebbe pensato a questa possibilità, il mondo non crede a questa realtà, il mondo la nega. La sapienza umana penserebbe che fosse molto più naturale e conforme all’ordine delle cose che Gesù fosse nato come tutti gli uomini di questo mondo. Il Verbo di Dio ha un unico Padre, che è il Padre celeste, Dio; l’uomo non può generare Dio ed avevano le loro buone ragioni quei nostri Padri che si opponevano al titolo di Madre di Dio, dato dal Concilio di Efeso alla Vergine Santa.
Solo che anche loro si lasciavano guidare dallo spirito del mondo. Quando, dopo avere accettato la verità che il Verbo di Dio aveva come unico Padre il Padre celeste, non riuscivano ad ammettere in pieno l’unità della Persona in Cristo, che portava come conseguenza naturale la Divina maternità di Maria. Ma resta pur vero che l’umanità in Maria e con Maria riceve il Verbo eterno, lo custodisce e gli dà un corpo, per opera dello Spirito Santo, affinché il Verbo possa redimere con la morte gli uomini, caduti nella morte col peccato, e dall’altro canto il Verbo stesso possa dirsi veramente e totalmente uomo, della nostra stirpe, della nostra carne. Questo è il mistero grande e bello che la potenza del braccio di Dio ha saputo compiere e noi lo contempliamo questo mistero e lo crediamo contro la sapienza di questo mondo che invece lo irride. E il Signore “ha disperso i superbi”. E’ un linguaggio di battaglia, di guerra, Dio ha disperso la forza del nemico, ha spiegato la sua potenza di guerra come un prode guerriero – dicono spesso i Salmi – ha sparpagliato i nemici, perché non possano usare la loro forza distruttrice. Il Signore ha sconvolto i loro pensieri, i pensieri della loro mente, ha detto ”BENE” ciò che per loro è “MALE”, “VERO” ciò che per loro è “FALSO”. Ed ha trionfato su di loro perché in Cristo si è verificata questa verità, della sua concezione verginale, che noi, nella forza della fede, crediamo. E la crediamo per l’azione in noi dello Spirito Santo e per la potenza di una “logica divina”. Ha disperso i superbi il Signore ed ha dato la sua grazia e la sua luce agli umili. Così è la Vergine Maria che accetta il disegno di Dio.
“Ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili”
Continua l’esaltazione dell’opera del Signore nei confronti del mondo, di tutta la realtà terrena. Il Signore è il Signore di tutto, non si spaventa e non trema davanti alle grandezze di questo mondo, anzi le domina e le umilia nella polvere. “Ha rovesciato”: L’azione del Signore è decisa, violenta, sconvolgente. Egli rovescia, cambia la faccia delle cose e delle realtà mondane. Non si dice che “accomoda”, che “compone in qualche maniera”, che “aggiusta il tiro delle cose e delle realtà”. Si dice che “ROVESCIA”, cambia il segno, da positivo a negativo. Per il mondo è positivo quello che appare agli occhi, quello che può essere toccato, quello che fa colpo. Per il Signore tutto ciò che risplende di luce terrena e solo terrena è nulla, è negativo. Egli scherza con le cose del mondo, con le sue grandezze e manda tutto all’aria, se non è conforme al suo disegno di salvezza. “I potenti” : i grandi di questo mondo, quelli che hanno in mano le grandi leve della vita del mondo: il potere, il denaro, la sapienza umana, le più svariate qualità di questo mondo. Oh! Il mistero della potenza umana! Chi e che cosa ha posto qualcuno in posizione di preminenza? L’intelligenza superiore, forse, ma l’intelligenza è dono di Dio dato agli uomini per il bene dei fratelli. La ricchezza, ma come acquistata, con quali mezzi, a prezzo di quali sacrifici, di chi l’acquista e soprattutto di chi è strumento della ricchezza altrui? Il potere che deriva dalla conquista, anche a prezzo di sangue, di vite umane, di sacrifici inauditi? I potenti di questo mondo si troveranno un giorno di fronte al fenomeno del Figlio di questa donna, che eleva a Dio il suo cantico e non sapranno fare altro che cercare di far tacere quella voce che, ben più fortemente, li inchiodava alle loro responsabilità e dimostrava una assoluta libertà di giudizio e di azione. “Guai a voi, ricchi”: risuonerà in Palestina questa voce terribile che inchioda questa gente alla sua responsabilità. “Dai troni”: quanto è effimera questa grandezza. Questi troni umani passano come la storia e con la storia, sono travolti dalla furia dei popoli, dalle vicende umane. Dice il nostro poeta Manzoni del grande Napoleone: ”due volte nella polvere, due volte sull’altar”. Ma presto o tardi, è la polvere che vince. Vince la polvere con la morte che fa tacere ogni grandezza umana e rende vuoto, abbandonato ogni trono. Spesso sono le vicende della vita che cambiano il segno della fortuna degli uomini. Dal trono alla polvere, per fare spazio ad un altro grande della terra e poi ad un altro ancora, per finire tutti sepolti nella terra e nell’inutile e vano ricordo dei polverosi libri di storia. “Ha innalzato”: come è bello pensare che il Signore va a cercare il piccolo, l’umile e lo pone in alto! Maria è stata innalzata; abbiamo già sentito
“ TUTTE LE GENTI MI DIRANNO BEATA”.
E’ stata posta in alto e risplende di luce divina. Dio innalza!!! Quello che per i potenti della terra è frutto di forza umana, di saggezza terrena, di ricchezza, di conquista, per gli umili di Dio è frutto di una potenza senza limiti, quella del Signore. Una potenza santa, che guarda il vero delle cose, che premia il bene fatto dagli uomini, che suscita grandezze altrimenti non esistenti, al di fuori di un disegno misterioso di Dio. L’altare di Dio è qualcosa di ben diverso dagli effimeri altari di questo mondo. L’altare di Dio resiste alla storia, supera la storia, domina la storia. Sì, diventa anch’esso oggetto di storia e finisce spesso sui libri, ma è oggetto che dura e salva, sono libri che edificano e creano una nuova grandezza. “Gli umili”: Gesù ha detto: “ Ti benedico, o Padre, perché hai nascosto queste cose ai sapienti di questo mondo e le hai rivelate ai piccoli”. Gesù ha detto ancora, a proposito dei piccoli, dei bimbi: “chi non diventerà come uno di questi piccoli non entrerà nel regno dei cieli”. Gli umili e i piccoli, quelli che non contano per la sapienza umana, quelli che sono ai margini, quelli che sono tra la folla anonima, quelli che poggiano i piedi sulla terra e non sui gradini della potenza umana. E’ veramente un discorso sconvolgente, che sconvolge con la consapevolezza della necessità di uno sforzo di fede per accettare e credere questa realtà. Il Signore mi dia la sua luce, mi faccia umile e piccolo come Lui vuole, perché mi sia riservato un trono, di quelli che non crollano. “Voi che avete lasciato tutto per me, riceverete il centuplo in questa terra e la vita eterna e giudicherete le 12 tribù di Israele”. Un trono non di questo mondo che passa: “passa la scena di questo mondo” come lo scenario fittizio di una commedia. “Ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi a mani vuote” Ha ricolmato”: dà proprio il senso dell’abbondanza, della misura piena, ben scossa, abbondante. Il Signore è un signore munifico, non guarda al risparmio nei suoi doni. Egli è padre di tutto. “Mie sono le bestie della foresta” dice il Salmo.
Tutto quanto esiste è del Signore ed Egli ne può fare quello che vuole per il bene. E non c’è pericolo di rimetterci in generosità con Lui: con Lui non si può gareggiare. Vince sempre nell’amore. Il verbo dà anche il senso dell’esperienza fatta sul suo amore. Ha ricolmato, lo ha già fatto, ne abbiamo esperienza e quindi non c’è nulla da dire, non c’è da avere timore. Egli è un Dio fedele alla sua parola. “…di beni”: di ogni bene, quelli materiali anzitutto, stando alla lettera del testo. E allora ci vengono in mente le parole evangeliche che parlano della Provvidenza di Dio. Gli uccelli dell’aria che il Padre nutre, i gigli del campo che il Padre riveste di colori più belli di quelli degli abiti di Salomone. Ma perché sono piccoli e indifesi gli uccelli dell’aria e sono destinati a essere sbadatamente calpestati i gigli del campo. Così bisogna vivere alla giornata, come gli uccelli che non seminano, non mietono, non raccolgono nei granai, eppure il Padre celeste li nutre. Come è difficile vivere così! Senza pensieri assillanti per il domani che ci è ignoto, al quale neppure sappiamo se giungeremo, senza morire oggi stesso. Inoltre quelli che sono privi del necessario per vivere li dobbiamo aiutare noi. Noi dobbiamo essere gli amministratori fedeli dei doni di Dio e dare a chi ha bisogno del necessario, come la saggia madre di famiglia del libro dei Proverbi. E anche qui c’è da riflettere e da fare l’esame di coscienza per tutto quello che non facciamo (io per primo) o facciamo sforzati e di malavoglia. La carità materiale che, a volte, è la più facile da farsi ed è quella che impegna meno. Ci saranno poi anche i beni dello spirito nelle parole di Maria. Anzi quelli saranno i migliori e i più importanti e desiderati. I doni soprannaturali, la Grazia, il perdono, tutto ciò che costituisce la vita dello spirito. Il Signore ci ha detto di chiedere prima il regno di Dio e poi tutto il resto ci sarebbe stato dato in aggiunta. Anche questi doni saranno dati ai piccoli, a chi li chiede e li desidera dal fondo del cuore. La conoscenza di Dio, l’amore di Dio, il perdono di Dio: ecco i beni veri, quelli che non si macchiano, non marciscono (vedi 2° lett. Pietro).Ed anche qui dobbiamo essere i buoni amministratori di questi beni, il tramite tra Dio e il povero che è solo e abbandonato, pur nel trambusto del mondo. E i poveri, in questo campo, sono spesso i ricchi dei beni di questo mondo, quelli che credono di avere tutto perché hanno la ricchezza e la potenza. “Gli affamati”: chi ha fame, chi non ha nulla, chi è solo, chi non ha appoggi di nessun genere. E questi sono quei fratelli che si trovano in condizione di bisogno! Vivendo la vita e aprendo occhi e orecchi al mondo se ne trovano tanti. Il Signore ricolmerà di beni gli affamati. Gli affamati e assetati di giustizia, oltreché di pane e di acqua.
Qui il Magnificat si incontra con le Beatitudini: beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati (Matteo 5). Avere occhi per vedere e orecchie per sentire il grido di miseria della gente di ogni specie. Avere il cuore di Dio che guarda e ama i suoi figli poveri: ecco la vita del cristiano e del prete. “Ha rimandato”: li ha respinti semplicemente da sé. Torna indietro tu che sei ricco e non senti il bisogno di alcuno, perché credi di essere autosufficiente. Eppure il verbo presuppone che anche chi non è affamato si presenti al Signore, perché dice :
HA RIMANDATO. Dunque è venuto, ma è venuto non nel senso giusto, non con le dovute disposizioni, magari in maniera arrogante e autosufficiente. Il Signore non ha paura di rimandare indietro. ..”via da me, maledetti, nel fuoco eterno preparato per voi” E se ti rimanda indietro il Signore, dove vai pover’uomo? I ricchi , la terribile maledizione verso i ricchi. “E’ più facile che un cammello passi per la cruna di un ago” I ricchi di beni materiali, quelli che hanno accumulato, forse col sangue e col sudore del prossimo. Quelli che fidano nella potenza del denaro. Si dice: col denaro fai tutto o quasi. Ma quante volte invece non è vero! Eppure la suggestione della ricchezza ci perseguita come una spaventosa tentazione. E se sei ricco, cosa vai a chiedere al Padre? Vuoi forse ancora qualcosa di più? L’insaziabile ingordigia dei beni e dei piaceri del mondo! E ci sono i ricchi di beni spirituali, che non sono meno presuntuosi dei ricchi di beni materiali. Sono quelli che hanno la pretesa di possedere la verità, e per questo disprezzano gli altri.
“ Ha soccorso Israele, suo servo, ricordandosi della sua misericordia”
La Madonna non si dimentica di essere ebrea, ben inserita nelle vicende del suo popolo, il popolo eletto da Dio! La meravigliosa storia del popolo, creato, guidato, nutrito, difeso da Dio! C’è in questo “soccorso” tutta la storia degli interventi di Dio a favore degli Ebrei, i “mirabilia dei”, i momenti in cui il Signore è intervenuto con braccio forte e mano distesa. Non si può ricordare tutta la storia dei secoli, ma alla mente e al cuore della Vergine è presente la potenza, la grandezza, l’amore di Jahvè. Da Abramo, capo di un grande popolo, a Lei, che sarà madre del vero capo del popolo di Dio, Cristo, attraverso i Patriarchi, i Profeti, i Re, Mosè e Davide e tutta la turba degli Ebrei, popolo umile e povero, arricchito e difeso da Dio, è tutta una storia di “soccorsi” di Dio che si è fatto padre, sposo, fratello di quella gente. E’ tutta una catena di interventi amorosi di Dio, iniziative mirabili di cui il popolo ha avuto coscienza nei momenti migliori della sua storia.
Adesso, attraverso le parole della Vergine, eleva a Dio il più bel canto di lode e di ringraziamento. La Madonna però ha coscienza che quello che Lei sta vivendo nel silenzio e nel mistero della sua divina maternità, è il momento culminante di questa storia d’amore e di salvezza. L’intero popolo di Israele è toccato da questa grazia del Signore, perché l’umanità di Gesù è l’umanità di un ebreo. Così si può dire che il popolo, per volontà di Dio, può salvare se stesso, trovare in se stesso le radici della salvezza. Questa umile e nascosta fanciulla di Nazareth è tutto Israele! Israele che riceve il soccorso più vero e definitivo: la SALVEZZA.
Ma perché poi lo ha respinto questo salvatore? Mistero del cuore umano, mistero di un popolo grande e meschino al tempo stesso.
“Ha soccorso Israele suo servo”
Suo servo e suo figlio. Nella servitù di Israele verso Dio c’è il senso vero della sua grandezza di popolo, chiamato dal Signore alla salvezza. Non c’è nella parola, servo, un senso di avvilimento, ma di onore. Dio ammette Israele nella sua famiglia. Nei momenti migliori, questo popolo ha sentito la grandezza di Dio (i Salmi) e si è riconosciuto povero e piccolo davanti a Lui. Anche la Madonna si è già proclamata: “serva del Signore”, eppure quanta grandezza in questa sudditanza…. Chi è come Dio? Anche qui, chi fosse capace di citare tante espressioni dei Salmi avrebbe di che riempire pagine e pagine. Ma sarà sufficiente per me avere nell’orecchio e nel cuore questo concetto. Anch’io, o Signore, sono tuo servo, figlio della tua ancella (Salmo 116,6)
“Ricordandosi della sua misericordia”
Sembra che Dio possa dimenticarsi della fedeltà alla sua parola di salvezza, Lui che è il Dio fedele. Ma è solo espressione di preghiera, quasi a ricordare all’uomo appunto che Dio è fedele e non dimentica nulla. Infatti Dio non si dimentica dell’uomo, semmai siamo noi che ci dimentichiamo di Lui. Dio non dimentica di usare misericordia e perdono perché questi suoi figli sono peccatori e tante volte si sono allontanati da Lui. Anch’io, o Signore, sono peccatore ed ho bisogno della tua misericordia. E te la chiedo con insistenza e sono pronto ad offrire la mia sofferenza quotidiana per ottenerla da Te.
“Come aveva promesso ai nostri padri, ad Abramo e alla sua discendenza, per sempre.
” Il versetto si ricollega a quello precedente. Il Signore ha promesso la sua misericordia, cioè il suo amore misericordioso, il suo perdono. Bisognerebbe conoscere bene il significato della parola “misericordia” nel contesto del cantico. Misericordia è animo disposto ad aiutare i poveri, beneficenza verso i miseri, pietà, amore benevolo. Dunque è l’atteggiamento del padre, anzitutto. E Dio è padre. Ma è padre di figli poveri, miseri che hanno bisogno di compassione, di misericordia ed anche di perdono, quantunque forse il concetto di perdono in questo caso non sia prevalente. Prevalente è l’atteggiamento paterno di accondiscendenza verso la povertà dei figli e questo si intona anche con quello che è stato detto nei versetti precedenti, a proposito del Signore che arricchisce i poveri e salva gli umili.
Israele è dunque il piccolo e povero figlio di Javhè. Il Signore ha visto la sua povertà. Direbbe Ezechiele (cap. 16) che il Signore ha visto la nudità di quella che poi farà sua sposa nel diritto e nella giustizia, e ne ha avuto compassione, rivestendola e poi adornandola di ogni gioiello. Questo amore misericordioso Dio l’ha promesso ad Israele con un patto solenne che ha vari momenti di esecuzione. Si può cominciare addirittura da Adamo, dalla prima coppia umana per ricordare la misericordia del Signore, che vuole vivere una vita di relazione con queste sue creature, fatte a sua immagine e somiglianza. Già nell’atto creativo c’è un rapporto, un patto che l’uomo non riesce ad osservare, ma che anzi rompe subito, al primo ostacolo. E’ il peccato originale dal quale deriva ogni male successivo, ma che il Signore vuole annullare, almeno nelle sue conseguenze più funeste, attraverso il piano di salvezza che Egli stesso promette e poi, piano piano, realizza con Cristo. Tocca pure Noè questo patto di Dio, perché anche con lui il Signore fa un discorso di salvezza. Lo salva dal diluvio con tutta la sua famiglia e stabilisce con lui un rapporto, promettendo di non mandare mai più un castigo così grande, come il diluvio. Ma è con Abramo che il patto del Signore acquista connotati che non lo definiscono soltanto come una tappa del piano di salvezza, ma fissano addirittura degli elementi originali che caratterizzano per sempre il rapporto tra Dio e le sue creature.
Questi connotati sono:
a – L’assoluta originalità dell’azione del Signore, che prende l’iniziativa di fare con Abramo e la sua discendenza un patto definitivo;
b – l’abbandono pieno e totale di Abramo alla volontà del Signore, in un atteggiamento di piena disponibilità;
c – la purezza assoluta di questo rapporto di Abramo con Dio, che fa di Abramo l’amico di Dio, in un rapporto di grande familiarità, che sembra ricalcare la situazione dell’età iniziale del mondo, prima del peccato.
Il patto si evolverà con Mosè e con Davide, ma con entrambi decadrà dalla purezza originale del tempo di Abramo, per diventare una specie di rapporto interessato, quasi alla pari, in cui manca l’assoluta disponibilità dell’antico Abramo. Che cosa ha avvertito la Madonna nella storia del rapporto Dio – Abramo?
Ha avvertito certamente l’amore esclusivo, geloso di Dio verso il popolo che nasce dai lombi di Abramo. Il Signore ama questo popolo singolare, a cui affida una specifica missione nel mondo. E Maria ha esperienza di questo amore che sente verso di Lei da parte del Signore. Quello che avviene in Lei è opera dello Spirito Santo e un atto di amore verso di Lei, prima di tutto, immagine e simbolo del popolo dei credenti, della Chiesa. E attraverso di Lei, avverte l’amore a tutta l’umanità che sarà con Cristo, suo Figlio, chiamata tutta intera alla salvezza, senza più privilegi o esclusioni da parte di qualcuno. Avverte anche ed è consapevole del proprio amore a Dio:
“ECCO L’ANCELLA DEL SIGNORE…” la serva che ama e fa quindi la volontà di Dio. Avverte l’amore dell’umanità che sarà redenta da Cristo e pur nel peccato ineliminabile sarà la sposa di Cristo e la figlia prediletta. del Padre. Il patto del Signore è poi fatto in Abramo con la discendenza di lui e, non con i discendenti (v. Galati, 3). S. Paolo arguisce che la promessa di Dio ad Abramo si realizza nel solo Cristo e nella Chiesa da Lui fondata, con la conseguenza che è finita la legge antica ed ora vale per la salvezza solo il sacrificio di Cristo in croce. Anche la Madonna dice: “alla sua discendenza” e quindi pensa a Cristo che in Lei si incarna e alla Chiesa che da Lui nascerà e di cui Lei, Maria, sarà la Madre. In tutto il discorso poi c’è una forte accentuazione della fedeltà del Signore. Il Signore è fedele per sempre, non manca di parola, e realizzerà in Cristo, morto e risorto, le sue promesse di salvezza. Di questa fedeltà, Maria ha una grande e sicura consapevolezza in quell’avverbio di tempo, che chiude il cantico: “per sempre”. Il Signore ha promesso una volta, la sua promessa è parola per l’eternità.
Cosa possiamo imparare alla scuola di Maria? Come apprendere da Maria la capacità di leggere la nostra storia alla luce di Dio, della sua potente azione salvifica?
La Vergine santa ci è modello non solo per come ascolta la Parola, ma anche per come la medita e per come vi ritorna costantemente sopra per approfondirne il senso: «Maria, da parte sua, serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore» (Lc 2, 19). Nella cella del cuore, lì dove è la sede più profonda dell’interiorità, Maria s’intrattiene con la Parola, cerca di interpretarla e di comprenderne il senso vitale collegandola con gli eventi della storia sua e di Gesù. Così Maria si fa essa stessa “simbolo” per noi. Maria di Nazaret, a partire dall’evento dell’Annunciazione fino alla Croce, anzi fino alla Pentecoste, accoglie nella fede, medita, interiorizza e vive intensamente la Parola”. Accenniamo a tre atteggiamenti di Maria, per noi esemplari: l’ascolto, il dia‐logo e l’amorevole cura della Parola.
• Ascolto. È il primo e fondamentale atteggiamento: “Ascolta Israele!” (Dt 6,3). Maria è donna dell’ascolto.
• Dia‐logo. Proprio perché ascolta, Maria pone domande: è donna critica e interrogante (Lc 1,34; 2,48). Anche noi dobbiamo imparare a interrogare il testo biblico, a porre domande mirate. Occorre entrare in dialogo con la Parola e con la vita.
• Amorevole cura. Maria ci insegna un passo ulteriore, a custodire la Parola nel cuore anche quando non la capiamo. Ruminare la parola, ritornarci sopra in meditazione orante, custodirla amorosamente perché produca frutto come il buon seme nella terra.
Alla scuola di Maria possiamo apprendere l’arte di coniugare nella vita quotidiana logos, ethos e pathos. La Vergine che accoglie la Parola prontamente si alza e si mette in cammino... il logos sollecita l’ethos dell’amore, simbolicamente indicato in quel mettersi in cammino verso la casa di Zaccaria, e il canto che segue dà voce al pathos. Il grande pathos di Dio per il suo popolo. L’ultima propositio del Sinodo di Pompei del 2008 (la 55), dedicata a Maria Mater Dei et Mater fidei, afferma che … “la Chiesa del Nuovo Testamento vive là dove la Parola incarnata viene accolta, amata e servita in piena disponibilità allo Spirito Santo” e che “l’attenzione devota e amorosa alla figura di Maria come modello e archetipo della fede della Chiesa, è di importanza capitale per operare anche oggi un concreto cambiamento di paradigma nel rapporto della Chiesa con la Parola, tanto nell’atteggiamento di ascolto orante quanto nella generosità dell’impegno per la missione e l’annuncio” (da Mater Dei et Mater fidei,55). Sia in ciascuno l’anima di Maria per magnificare il Signore; sia in ciascuno lo spirito di Maria per esultare in Dio. Se c’è una sola madre di Cristo secondo la carne, secondo la fede, invece, Cristo è frutto di tutti: ogni anima, infatti, riceve il Verbo di Dio, purché, immacolata e immune da vizi, custodisca la castità con intemerato pudore. Come avete potuto leggere anche altrove:
“Magnificate con me il Signore (cf. Sal 33,4), il Signore è magnificato non perché la parola umana possa aggiungere qualcosa alla grandezza del Signore, ma perché egli viene magnificato in noi. Cristo è infatti l’immagine di Dio: perciò l’anima che opera con giustizia e pietà, magnifica l’immagine di Dio a somiglianza della quale è stata creata, e perciò, mentre la magnifica, partecipa in certo modo alla sua grandezza e si eleva” .( Sant’Ambrogio, Commento su Luca.)
Non si può aggiungere nulla alla grandezza di Dio, è evidente. Ma quando Dio dona qualcosa della sua bellezza a una creatura, in quella creatura Dio si fa più chiaramente visibile, Dio cresce in lei. Non si può aggiungere nulla a Dio, ma si può accogliere qualcosa di Dio in noi. E quando questo avviene, Dio è magnificato in noi e noi in Lui. Maria ha ascoltato la parola di Dio, l’ha creduta nella fede, l’ha accolta nell’obbedienza. In questo modo la Parola di Dio si è incarnata in lei e, incarnata, è diventata attrice della nostra storia. Cristo è frutto di tutti; Cristo nasce e cresce nella fede e nell’obbedienza di ogni credente. A condizione, s’intende, che ogni credente, dopo aver ascoltato e creduto la parola, intoni il canto di lode di Maria e dica con lei: “L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio Salvatore.” (Lc 1,46-47).
Prof.ssa Rosaria Calà
BIBLIOGRAFIA:
Testi di benedetto XVI;
Lumen Gentium;
Il Magnificat commentato da Mons. G. Ravasi;
Lectio di Elena Bosetti sul Manificat (Biblista modenese);
Commento di Mons. Monari vescovo di Brescia