SK 1102 -Al rosario... Rycerz Niepokalanej, X 1925, p. 257-259
“Din, don, din, don, al rosario, al rosario”, chiamano le campane della chiesa e sull'imbrunire il loro squillo corre per le vie, si introduce nelle case, nei palazzi, nei sotterranei nelle soffitte, si leva in volo al di sopra dei campi e dei boschi, penetra nei casolari dei contadini, entra nelle orecchie, nelle menti e nei cuori: “Al rosario, al rosario”. Molti attendono con gioia questo segnale e non appena odono i primi rintocchi della campana, si affrettano nel lavoro, si riuniscono insieme e vanno dalla loro Regina. Ma ci sono anche taluni che esitano: “Ho tanto da fare! sono così stanco! Mi devo riposare. Dopo tutto, il rosario non è la s. Messa domenicale e festiva, alla quale bisogna prender parte sotto pena di peccato... Ho degli ospiti. Sono arrivati da lontano... Devo andare di qua o di là”, e via dicendo. Migliaia di scuse si aggirano per la testa. “Andare o non andare?” La Madre Divina, Regina non solo del cielo, ma anche della terra, non è forse in grado di benedirmi nel lavoro affinché io lo compia con maggior facilità più in fretta e meglio?... Non potrebbe, forse, disporre le circostanze in modo tale che siano più favorevoli per la mia anima e magari per la mia stessa esistenza terrena (per quanto ciò non sia in contrasto con la faccenda più importante, vale a dire la salvezza)?... Ebbene, Ella desidera per me le cose migliori, più di quanto lo possa desiderare io, e mi può aiutare, poiché a Lei il Creatore non è capace di negare nulla. Non è meglio, dunque, affidare a Lei le mie preoccupazioni e i miei guai? Ella vi porrà rimedio più in fretta e più facilmente di me. “Sono stanco a causa del lavoro”. Ma dove troverò maggior riposo e pace se non ai piedi di Colei che è nostra Madre, Ausiliatrice, Rifugio, Consolatrice? È vero che la recita del rosario non è obbligatoria sotto pena di peccato, ma che amore sarebbe quello che si limitasse agli stretti doveri, la cui trascuratezza diventa una trasgressione, magari grave? Un tale modo di agire sembrerebbe più una servitù da schiavi che l'amore di un figlio verso l'ottimo Padre celeste e la Madre più affettuosa. No, ciò sarebbe indegno per un amante di Maria! Il vero innamorato di Lei cerca piuttosto l'opportunità di recarsi da Lei il più sovente possibile, di rimanere il più a lungo ai Suoi piedi (entro i limiti consentitigli dai doveri del suo stato). Le affida tutti i suoi guai e le sue preoccupazioni, ed egli stesso, entro i limiti che le sue forze gli consentono, riflette e lavora per far sì che le opere di Maria procedano nella maniera migliore, che il regno di Lei si dilati nelle anime di tutti coloro che vivono ora e vivranno in futuro, conoscenti o sconosciuti, amici o nemici, parenti, concittadini, connazionali o stranieri, cattolici o acattolici: ecco le sue aspirazioni, i suoi desideri; ecco lo scopo a cui mirano i suoi sforzi. E dove attingere la luce per sapere che cosa e come operare, se non ai piedi di Lei? Si può, forse, andare altrove ad attingere le forze per un lavoro così sublime? “Ho degli ospiti in casa”. Andiamo insieme, allora. Infatti io desidero la felicità anche per loro, mentre molte volte gli affari personali si possono sbrigare anche in altro momento. Ma ci sono anche di quelli che al rosario non ci vanno. Se i loro doveri personali non glielo consentono davvero, poiché devono compierli proprio in quest'ora e non in un'altra, l'Immacolata accetterà il loro ardente desiderio di andare al rosario comune, Ella stessa scenderà in essi e riempirà il loro cuore di benedizione. Coloro, poi, che l'amore verso il prossimo trattiene presso il letto di persone ammalate, allo scopo di recar loro aiuto, non si rattristino non si affliggano. L'Immacolata accetterà i servizi che essi presteranno agli ammalati. Che dire, però, di coloro che potrebbero andare al rosario, tuttavia non ci vanno o per pigrizia o per trascuratezza o talvolta per un divertimento peccaminoso? Può forse l'Immacolata benedirli?
“Din, don, din, don, al rosario, al rosario”, chiamano le campane per l'ultima volta. La chiesa è ormai gremita. Il quadro dell'Immacolata posto sopra l'altare è tutto illuminato in mezzo alle candele. Squilla il campanello presso la sacrestia. Ha inizio la funzione. “Padre nostro...”. “Ave Maria...”. “Ave Maria...”. Nei cuori addolorati scende un balsamo di conforto, nelle anime disperate spunta di nuovo un raggio di speranza. I poveri, gli affaticati, coloro che sono curvi sotto il fardello delle preoccupazioni, delle tribolazioni e delle croci sentono sempre più chiaramente ed espressamente di non essere orfani, di avere una Madre che conosce i loro dolori, li compatisce, li consola e li aiuta. Sentono di dover soffrire ancora un poco, ma che poi seguirà una ricompensa, la ricompensa eterna, infinita; sentono anzi che val perfino la pena di soffrire in questa breve vita, allo scopo di cancellare le colpe commesse e di dare una prova del loro amore a Dio; comprendono che nella sofferenza l'anima si purifica come l'oro nel fuoco, si stacca dalle illusioni passeggere che il mondo chiama felicità, e si eleva sempre più in alto, infinitamente più in alto, fino alla sorgente di ogni felicità, a Dio. Si rendono conto che soltanto in Lui l'anima può prendere riposo, mentre tutto il resto è troppo poco... “Agnello di Dio, che togli i peccati del mondo...”. “Sotto la tua protezione...”, risuona per tutta la chiesa. Un canto che esce dal cuore e lega i cuori dei figli con il cuore della Madre. La funzione è terminata, si spengono le luci e coloro che vi hanno partecipato tornano, con una beata pace nel cuore, rinvigoriti nello spirito, felici alle loro case. R.N.
Milizia Dell'Immacolata di Sicilia